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Pet Therapy: quando un animale può salvare la vita delle persone (Pt 1)

6 Maggio 2020
Pet Therapy: quando un animale può salvare la vita delle persone

L’inizio di un viaggio attraverso l’origine della Pet Therapy per arrivare a scoprire nel corso della nuova rubrica i meccanism di azione della stessa

La nascita della Pet Therapy viene fatta risalire al 1961 quando il neuropsichiatra infantile Boris Levenson conia il termine “Animal Assisted Therapy” all’interno del suo scritto “Il cane come coterapeuta”.

La scoperta di quanto un cane potesse aiutare nel corso di un percorso terapeutica fu di fatto fortuita. Lo psichiatra infatti, notò quanto la presenza del suo volpino durante le sedute con i suoi piccoli pazienti, aiutasse gli stessi ad esprimere il proprio mondo interiore.

Tuttavia l’utilizzo, o per meglio dire il coinvolgimento degli animali per scopi medici, ha origini ben più antiche. Nel Settecento infatti, presso l’ospedale inglese York Retreat, lo psicologo William Tuke consigliò ai suoi pazienti con malattie mentali, di prendersi cura di animali domestici perchè avrebbe portato al conseguimento di un maggior autocontrollo oltre che ad un miglioramento nello scambio affettivo.

Analogamente, e solo per citarne alcuni, al termine della Prima e Seconda Guerra Mondiale il coinvolgimento di animali domestici venne consigliato anche per curare di depressione e ansia i soldati rientrati dal fronte.

A seguito però della nascita del termine “pet therapy”, si susseguirono una serie di studi al fine di valutarne l’efficacia. E partendo da tali presupposti nel 1975 i coniugi Corson applicarono la pet therapy su adulti e anziani ricoverati in ospedali psichiatrici sui quali non risultavano avere effetto i tradizionali trattamenti. Così come Levinson, anche i Corson rilevarono il raggiungimento di ottimi risultati terapeutici sulla capacità di relazionarsi ed esprimere le proprie emozioni a terzi attraverso il coinvolgimento degli animali domestici.

Ancora negli anni ’80 la dotteressa Erica Friedmann evidenziò delle relazioni tra la sopravvivenza di pazienti cardiopatici e il possesso di animali domestici. La dottoressa ipotizzò come il rapporto uomo-animale potesse ridurre l’ipertensione e il rischio di infarto cardiaco. Infatti, anche la sola osservazione dell’animale può indurre nel paziente cardiopatico la diminuzione della pressione, la regolarizzazione del battito cardiaco e della respirazione, il rilassamento del tono muscolare e delle espressioni del viso.

In Italia invece, la pet therapy è arrivata in tempi molto più recenti, ovvero nel 1987 quando si tenne il convegno interdisciplinare sul rapporto uomo-animale.

Nel tempo la pet therapy si è evoluta con metodi ed applicazioni a tipologie di pazienti molto diverse tra loro. Ma è necessaria una distinzione in termini nell’ambito della pet therapy.

Si parla di Animal Assisted Activities (AAA) per attivitià finalizzate al miglioramento della qualità della vita e della corretta interazione uomo-animale. Tuttavia non necessariamente devono essere legate a una terapia e non vengono dunque influenzate dalle condizioni mediche del paziente. Si parla invece di Animal Assisted Therapies (AAT) per attività finalizzate alla cura di disturbi della sfera fisica, neuro e psicomotoria, cognitiva, emotiva e relazionale. Queste si prefiggono di raggiungere obiettivi specifici nelle sfere sopraindicate delle persone (fisica, sociali, emotive e cognitive) con la presenza di un professionista con esperienza specifica nel campo, nell’ambito della propria professione. Ne conseguono percorsi terapeutici specifici per ciascun tipo di paziente.

Si definisce invece, Educazione Assistita con Animali (EAA), l’attività finalizzata a promuovere, attivare e sostenere le risorse e le potenzialità di crescita, relazione e inserimento sociale delle persone in difficoltà. Principalmente sono attività di tipo educativo e/o ludico-ricreativo effettuati, per l’appunto, con l’aiuto degli animali.

 

 

(seguiranno nuove puntate della rubrica “Pet Therapy).

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